Una generazione diversa dalle precedenti

La ricchezza ignorata nella vita dei giovani

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Iori Vanna Docente universitaria
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di Vanna Iori

Nei giornali vengono riportati quotidianamente episodi e azioni commesse da adolescenti e giovani in cui vengono descritti come dipendenti dai social, violenti, interessati all’immagine più che alle relazioni, consumatori o spacciatori di droghe, senza riguardo per l'autorità, i genitori, gli anziani, la scuola; ragazzi che bullizzano i più fragili (azioni online che hanno effetti offline), privi di sentimenti e incapaci di riconoscerli, come se la vita fosse un videogioco. Ed è certamente presente e allarmante questa povertà emotiva diffusa. Ma non possiamo ignorare che  ci sia anche tanta bellezza poco conosciuta in questi ragazzi che si confrontano con un mondo in così rapida e anche drammatica trasformazione. 

Gli adulti che parlano con sfiducia delle nuove generazioni, non nutrendo in loro alcuna speranza, con spirito negativo, spesso non sanno individuare la loro ricchezza nuova e costruire possibili azioni pedagogico-educative e rieducative capaci di prevenire e contrastare la diffusione di comportamenti negativi e supportare, anche tramite un concreto sostegno informativo/formativo, famiglie, insegnanti, educatori, nelle diverse realtà. E’ quindi necessaria una diffusa educazione all’empatia che consenta ai giovani di percepire il dolore che arrecano, educare a dare nome al sentire, ma soprattutto ad assumere la responsabilità dei comportamenti che attuano in conseguenza di ciò che sentono. C’è bisogno anche di riportare sui giornali le azioni positive, fatte di empatia, generosità, sentimenti effettivi per mostrare e riconoscere c’è tra noi anche un elevato numero di ragazzi con emozioni positive capaci di superare quelle negative.

La Generazione Z - che succede ai cosiddetti Millenials - ancor prima dell’esplodere della pandemia che ha stravolto le nostre esistenze, appare come una realtà differente dalle generazioni precedenti. Cresciuti con la tecnologia, la usano per connettersi agli altri in modi nuovi. Molti di loro sono globali, aperti, appassionati, tendenzialmente inclusivi e utopisti. Esperienza non facile ma messa in atto anche nei fallimenti. Vorrebbero fare la cosa giusta e, a differenza di altre generazioni, non sono ancora stanchi di provarci. Anche sulla base di incontri ed esperienze formative con i ragazzi, ho constatato che questa sia una generazione che vuole migliorare la società in cui vive e ridare senso alla parola futuro: pensiamo alle battaglie  per la difesa dell'ambiente e la sostenibilità, per distribuire equamente la ricchezza, per contrastare la precarietà del lavoro, per un'economia cooperativa, per accrescere l'inclusività e la solidarietà. Questa è una generazione che ha rispetto delle differenze.

La loro scala dei desideri mette al primo posto la ricerca di equilibrio nei sentimenti e negli affetti, la sicurezza, la ricerca di serenità. Un mondo più a misura di donne e di uomini, più libero e in linea con desideri e aspirazioni, meno competitivo.

Dovremmo guardare con più attenzione ai giovani, smetterla di catalogarli in un unico agglomerato, in una massa indefinita e, troppo spesso, banalizzata o disprezzata. In loro vedo tante difficoltà e atti di paura, rabbia, chiusura, ma anche una nuova voglia di essere ascoltati e una radicalità positiva e coraggiosa che non viene riconosciuta nei contesti mediatici e sociali. Giovani che riscoprono la voglia di combattere dopo anni di disimpegno che hanno alle spalle, pensano al mondo in cui vivranno e non solo al proprio io. Aspirano a un mondo più giusto. Vogliono realizzare una società nuova, rifiutando e opponendosi a quel quadro di incertezza (per usare un eufemismo) lavorativa ed esistenziale che le istituzioni  stanno loro consegnando. Un'attitudine che un recente report realizzato da Erickson descrive molto bene: al contrario, infatti, di una lettura antropologica e sociale superficiale e parziale, i ragazzi mostrano segnali di profondo altruismo, empatia e capacità di guardare con sensibilità e rispetto agli altri e al mondo che li circonda, di aiutare anziani e persone in fragilità. Se solo la società avesse più rispetto di loro dal punto di vista degli investimenti e delle opportunità, dalla scuola al lavoro, forse ci sarebbe meno dolore e risentimento. Mentre la società e la politica li abbandonano al loro destino, molti di loro moltiplicano il loro impegno per fare del nostro mondo un luogo migliore. 

Dobbiamo molto a questa generazione. E' una strada su cui camminare insieme, giovani e adulti: lo ha affermato anche il Presidente Mattarella nel suo intervento alla cerimonia a Cagliari per l'apertura dell'Anno scolastico 2024-25. "Non possiamo più chiudere gli occhi di fronte a tanti fatti di cronaca, a tanti episodi di varia gravità ma tutti intollerabili. C’è oggi disagio tra giovani e giovanissimi. E' un disagio che si mescola e si sovrappone alle loro qualità straordinarie e a grandi generosità di cui sono capaci". “Senza dialogo, senza umanità, senza empatia, non ci sarà progresso tecnologico che possa esaudire il desiderio di una vita piena, ricca di relazioni, di affetti, di emozioni, di serenità"

Anche dalle risposte alla ricerca Erickson emerge come i giovani sappiano costruire relazioni positive perché attenti alla cura nel coltivare legami e a una notevole apertura mentale. Molti di loro utilizzano questa attitudine nel volontariato, nella politica attiva, nello sport, nella cultura. E ciò accade nonostante gli effetti devastanti sulla psiche e la vita relazionale generati dalla pandemia e dai lockdown. Questo significa contrastare una lettura mainstream per rilanciare la realtà di un contesto in cui emergono un'energia positiva e una sensibilità verso il mondo che ci lanciano segnali di ottimismo. Ma sta agli adulti, famiglie, educatori, docenti, pedagogisti cogliere questa forza propulsiva alla vita nel senso più alto del termine.

Il nostro compito, dunque, non è solo quello di aiutarli e sostenerli in questi percorsi di crescita interiori e sociali, ma anche contrastare una percezione distorta che li giudica come una massa informe di apatici, dipendenti dalle tecnologie, disinteressata alle sorti del vicino di banco e, dunque, del mondo. Insomma, andrebbe combattuta questa visione semplicistica e unidimensionale che fa un grandissimo torto a una generazione che, per crescere al meglio, avrebbe bisogno in primo luogo di sostegno e interesse. Per farlo ripartiamo dal confronto e dal dialogo. Prendiamoli sul serio e smettiamola di giudicarli con superficialità. Cercare di essere più attenti al bisogno di vedere riconosciuto il proprio valore personale, a questi aspetti spesso ignorati perché meno clamorosi, aiuterebbe a coltivarli anche in quei ragazzi che esprimono maggiore disagio e difficoltà esistenziale, provando ad aiutarli a percorrere la strada dell'apertura mentale, dei sentimenti positivi, della relazione, della flessibilità e dell'empatia. 

 

Vanna Iori, già docente ordinaria di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano, attualmente membro dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, ente fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

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