20. Io educatrice racconto / di Cristina Armando

Non basta la "buona volontà" per essere "buoni" educatori

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Ho iniziato questo lavoro, il lavoro di educatrice, nel 1997, in un momento storico in cui tutti potevano fare l'educatore: chi era laureato in filosofia, chi era laureato in psicologia, ma anche in tanti altri corsi di laurea, spesso non così attinenti alla pratica educativa. Ho avuto la fortuna di fare un buon tirocinio con l'università e di aver già iniziato a strutturare quelle competenze che ancora oggi caratterizzano il mio lavoro, le mie abilità personali e quelle professionali.

Sono quindi 26 anni che svolgo questa professione, sempre con la stessa passione per la quale ho scelto il mio percorso di studi.

Ho speso la prima metà della mia carriera professionale nella disabilità, e poi fino ad oggi con i minori: in entrambe le aree nelle quali ho lavorato mi sono resa conto fin dal principio che era necessaria una formazione costante e permanente, perché in questo lavoro non ci si può improvvisare. Bisogna avere chiara la responsabilità delle proprie azioni, dei propri pensieri, delle proprie parole perché si lavora con le persone, persone spesso in situazioni di difficoltà.

L'educatore è la figura professionale della vicinanza, la figura che si lascia “depositare”, che si fa riempire delle emozioni e dei pesi che le persone fragili non riescono a portare da sole, loro e le loro famiglie.

È un lavoro di mediazione, di negoziazione, e per questo è anche un lavoro di conflitto: è quindi assolutamente necessario essere strutturati personalmente, ricercare costantemente un proprio equilibrio, avere la capacità di tenere, e contenere, tutto ciò che viene riversato in noi dalle persone che vengono seguite, gli adolescenti (dei quali mi occupo in questo momento) e le loro famiglie preoccupate, disperate, affaticate dalla situazione che vivono ogni giorno a contatto con i loro figli.

Ho parlato in precedenza di fortuna, ma credo di aver saputo mettere a frutto anche la capacità di costruire legami con i servizi con i quali ho lavorato, con le persone che ho incontrato nei servizi sociali e nella neuropsichiatria infantile che hanno riconosciuto l'importanza del lavoro educativo, che non era visto come semplice manovalanza ma come una professione che si caratterizza per preparazione, per la capacità, non innata, di costruire legami, di costruire un intervento educativo come un sarto cuce un vestito su misura.

Ho visto in tutti questi anni diminuire il personale all'interno dei vari servizi che ho incontrato. Durante la pandemia, e nel periodo immediatamente successivo, ho osservato una sempre crescente difficoltà ad incontrarsi, organizzare momenti di confronto delle equipe multidisciplinari, nello sforzo collettivo di ristabilire vecchie prassi in un contesto che è cambiato per sempre. Per affrontare questa odierna incrementata complessità servono azioni coordinate su più fronti, che facciano dialogare le competenze tecniche con quelle relazionali.

Credo sia necessario che il mondo universitario formi in qualche modo non solo attraverso la parte di studio e di preparazione professionale ma che insegni a costruire attitudini professionali fondamentali in questo lavoro, attitudini senza le quali si rischia di bruciarsi troppo precocemente.

Così come penso che l'educatore, come lo psicoterapeuta già fa, debba obbligatoriamente avere un percorso di supporto psicologico, che debba essere incentivato a rimanere in costante iter formativo: non è sufficiente la “buona volontà” perché si possa essere dei “buoni” educatori.

Cristina Armando*

*Educatrice professionale nell'ambito dei servizi educativi della Neuropsichiatria Infantile, Cooperativa Stranaidea e Day Hospital Regina Margherita, Torino

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IL PROGETTO EDITORIALE 
In vista dell’AGORA' DELLE EDUCATRICI E DEGLI EDUCATORI (da giovedì 25 a sabato 27 maggio) la rivista Animazione Sociale ha avviato una raccolta di testi. Ti chiediamo di raccontare la tua professione di #educatrice/#educatore. Nei servizi, a scuola, nelle comunità, in strada, nelle carceri, nelle case, negli ospedali, nelle mille altre scene educative. In poche righe o con un testo più articolato.

Raccontare quello che vivi e vedi stando accanto alle storie, le riflessioni che come équipe fate, le domande che ti porti a casa la sera o a fine turno la mattina, le riflessioni che senti importante condividere oggi perché la dignità della professione educativa sia maggiormente riconosciuta.

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Se desideri partecipare all’AGORA' DELLE EDUCATRICI E DEGLI EDUCATORI (online o in presenza a Torino) iscriviti qui: https://www.animazionesociale.it/it-schede-3372-dignita_del_lavoro_educativo


 

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