14. Io educatrice racconto / di Marta Dal Bianco

Sentirsi pensati, e guardati

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Ho spento il motore. Ho parcheggiato. Sono circa le 7.30.
Il parcheggio della comunità residenziale è deserto.
Leggo sulla porta della comunità residenziale per persone disabili psichiche i nomi degli ospiti o, come piace chiamarle a me, PERSONE ACCOLTE. 

Ad ognuno dedico un pensiero, semplicemente li visualizzo, li immagino nelle loro espressioni o nelle loro stereotipie, fissazioni, ossessioni e sorrido.
“Ehi! Ciao! Ti stavo aspettando". È un ospite che dalla finestra della sua stanza mi ha visto e sentito arrivare. Anch’io mi sento pensata!
E con questo pensiero salgo le scale.
Le prime colazioni della mattina e il profumo del caffè mi avvolgono.
Chi è in cucina saluta, ognuno a suo modo, ognuno secondo la sua modalità.

Il mio sguardo su di loro e il loro su di me. Il primo contatto.
Mi sento nuda, inerme, quasi mi stessero leggendo dentro. Mi chiedono come sto e che turno faccio oggi. Ancora una volta mi sento al centro. Ma quale centro?
Mi sono data una risposta o almeno ho tentato di darmela… Siamo ai loro occhi un punto di riferimento, un esempio.
Loro vivono anche grazie al nostro sguardo.
Sguardo che mi rendo conto essere talvolta severo, talvolta amorevole, talvolta di ascolto e talvolta di stanchezza.

È pur sempre lo sguardo che, per varie motivazioni, non hanno avuto da piccoli, che ora cercano e ricercano durante tutta la giornata.
Lo ricercano quando entro in camera di un ospite per svegliarlo, capisco che non è giornata.
Accolgo con difficoltà il suo sguardo di sfida… Ma accolgo.
Accompagno lo sguardo alla parola.
Sono lì che tento faticosamente di svegliarlo. Alla fine ce la faccio e poi via un altro ospite e poi mentre accompagno quest’ultimo per la colazione incontro altri sguardi: è un crocevia di sguardi.

“Vieni ad aiutarmi a fare il letto?”. “Un attimo”, dico io, “arrivo!”.

Non sembra d’accordo… Punti di vista!
Dopo un po’ sono lì, sono presente.
Perché educare è anche essere nel qui e ora. Esserci. Non importa per quanto tempo, ma in quel momento sono lì, penso con te, sono con te… Ti guardo, ti osservo, ti aiuto a imparare da solo.

E così tra un’attività e l’altra, la preparazione del pranzo, il riposo pomeridiano, la merenda, un altro appuntamento, la cena, percepisco il vostro sguardo, lo sento.
Se è vero che educare significa letteralmente “tirare fuori”, mi chiedo, oramai arrivati a fine giornata, cosa sono riuscita a tirar fuori da voi, oggi?
E voi, in quale modo mi avete educata?
A fine giornata mi chiedo quanto vi abbia guardati e quale fosse il mio sguardo su di voi: era uno sguardo veramente educante?
E voi? Beh, voi alimentate ogni giorno la consapevolezza che da educatrice devo esserci, devo pensarvi, devo percepirvi in grado di crescere sempre.

E così parte tutto da uno sguardo.
L’ultimo sguardo me lo regalate voi, salutandomi alla sera mentre vi consegno, lasciatemelo dire, gelosamente allo sguardo dell’operatore della notte.

E tutto tace.

Marta Dal Bianco*

*Educatrice presso una comunità residenziale per persone disabili psichiche.

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