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Caro Preside, la tua scuola è morta ben prima del virus – Lettera di un'insegnante

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Torri Davide Insegnante
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Bergamo, sabato pomeriggio, si è appena spento il suono di una sirena.

Ascolto in forma ottusa e refrattaria quanto viene vomitato dalla televisione (per tacere di radio e web). Su tutto mi fa ribrezzo la giostra dei numeri e non solo per la loro evidente inutilità e inattendibilità.

Stamattina, in uno dei telegiornali fotocopie, un Preside (proprio così, Preside) arringava contro i genitori che, durante le interrogazioni online, suggeriscono ai propri ragazzi. "Ricevono suggerimenti mentre voltano lo sguardo verso qualcosa fuori dallo schermo". Chissà cosa immagina il Preside: la casa del povero sfigato, vincente anche nell'estrazione online del numero-lettera-oggi-interrogo, dove accampano un team di suggeritori pronti a sostenere l'assurdità della commedia.

La mamma sotto il tavolo, il fratello più grande sopra il frigo, il piccolo nel cesto portabiancheria, il papà imboscato nello spatifillum. E il nonno? No, il nonno no. L'avevano visto, tre giorni prima, stretto tra cinghie azzurre, disteso sulla lettiga e con uno sguardo terrorizzato, spinto su un'ambulanza che partiva a sirene spiegate. E da allora solo la preghiera e la speranza di poterlo rivedere. E null'altro. Non avevano nemmeno potuto abbracciarlo.

Ecco, caro Preside, cari professori, insegnanti, maestri, mentre voi riproponete on line, usando un pc acquistato con il bonus, nei vostri tinelli pieni di enciclopedie (segno di quanto siete, voi e non il nonno, vecchi), una scuola che è morta da tempo, ben prima del virus, una scuola fatta di interrogazioni, suggerimenti e ragnatele, noi, qua nell'epicentro del dramma, abbiamo altri obiettivi, per usare termini cari alla vostra scuola in pantofole.

Ogni volta che apriamo il computer per avviare una lezione speriamo che le ragazze e i ragazzi ci siano tutti, perché dietro una assenza sempre si nasconde un dolore, un disagio, una vergogna. Caro Preside, noi negli appuntamenti virtuali con i nostri alunni cerchiamo di staccarli dalle tragedie che a Bergamo sono in ogni casa, di proporgli una scuola che comprende, che cammina con loro, di strappare un sorriso o una pausa da questa pressione, siamo convinti che si può imparare in tanti modi e da tante cose. Abbiamo la voce resa metallica e il viso pixelato, ma noi no, non interroghiamo.

E, da ultimo, Preside, qua, a Bergamo e nei Comuni della Valli, siamo contenti se i genitori ci sono, anche dietro al frigorifero: è un segno buono nella triste giostra dei numeri.


 
  

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